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La mia testimonianza sul “Giardino delle Rose Blu” – A.Maria

Nel 1998, il mio ragazzo di allora, e marito di oggi Michele, conosceva Ermanno tramite l’esperienza scout, io non lo conoscevo ancora. Michele aveva scritto ad Ermanno che gli sarebbe piaciuto fare una bella esperienza di servizio, insieme a me, ed Ermanno gli propose di seguirlo nel suo prossimo viaggio in Croazia, dove saremmo andati in un orfanotrofio e in un ospedale di bambini disabili.

Partimmo i giorni successivi al Natale, eravamo un piccolo gruppo di 7 o 8 volontari, quando arrivammo alla struttura che era un orfanotrofio, ci rendemmo conto che dei bambini ce ne erano pochissimi, gli altri erano in vacanza e lì per noi c’era pochissimo da fare.

La direttrice della caritas, ci parlo’ di un’altra struttura, in un paese non lontano, dove c’erano bambini e ragazzi gravemente disabili, dove, ci disse, non c’era molto da fare, ma che una carezza, un sorriso era tutto quello che si poteva offrire a quei bambini.

Queste parole mi rimasero molto impresse.

La sera stessa partimmo verso questo ospedale per vedere la situazione, avevamo con noi anche gli zaini, perché’ si era deciso che alcuni di noi si sarebbero fermati lì, tra cui Io, Michele ed Ermanno.

Arrivammo a Gornja Bistra, mi ricordo era già’ il tramonto, c’era una nebbia attorno l’edificio che spiccava in fondo al lungo viottolo di alberi. Mi ricordo la casa sembrava di tutto fuorché un ospedale, un vecchio castello malmesso o il castello di dracula piuttosto.

Suonammo all’enorme portone di legno, e qualcuno venne ad aprirci, quando entrammo fummo tutti colpiti dal fortissimo odore presente.

Ci accompagnarono tramite una larga scala che portava al primo piano, nelle stanze dei bambini.

Quello che vidi fu’ molto scioccante, io mi ritenevo pronta alla situazione, non mi aspettavo di trovare nessun lusso, agiatezza, avevo già’ fatto volontariato con disabili, e non mi aspettavo niente di diverso. Invece quello che ci si presentava davanti era un silenzio totale, interrotto brevemente da qualche suono, voce, lamento, urlo pacato di qualcuno, letti di ferro vicinissimi gli uni agli altri, dove in ognuno di essi, c’era un paziente, non erano bambini, erano grandi, alcuni quasi adulti, legati per un polso o alla caviglia, alcuni ad entrambi o a tutti i quattro arti.

C’era una gran desolazione. Fosse il silenzio, l’ora tarda, il luogo, l’odore… dopo aver visitato poche stanze, Ermanno ci chiamò e ci disse che nessuno si sarebbe fermato quella sera, e che saremmo tornati tutti all’orfanotrofio a Zagabria, quello a confronto bello, nuovo, attrezzato.

Mi ricordo che nel pulmino durante il viaggio ho pianto molto.

La sera parlammo e si decise di tornare l’indomani nei gruppi già’ stabiliti, ma di non fermarci a dormire e di ritrovarci tutti la sera per condividere il lavoro fatto.

Il giorno dopo, il cielo era sereno e nonostante il freddo c’era un bel sole. L’ospedale era sotto una luce assai migliore, e dentro fin troppo caldo. Appena arrivati al corridoio di sopra abbiamo conosciuto una bambina, l’unica che sembrava sapesse parlare, in croato naturalmente, era Nina, una degli ospiti più’ ’’famosi’’, non solo conosceva i nomi di tutti i bambini lì dentro, aveva conosciuto velocemente anche noi,ho passato molto tempo con lei e da lei ho imparato tante parole in croato. Un altro bambino che ci colpì tutti era il piccolo Vojo, al quale tutti ci affezionammo subito, aveva solo tre anni, aveva una terribile malattia genetica eppure aveva una gran voglia di giocare, parlare e imparare a camminare, cosa che ancora non sapeva fare. Mi ricordo che passai un giorno intero a portarlo su e giù’ per i corridoi, con un gran timore di fargli male, ed era lui che ci diceva come tenerlo in braccio, dove prenderlo per non fargli male, e mi teneva strette le dita per aggrapparsi, con le sue manine ferite, mentre rincorrevamo per tutto il corridoio un palloncino d’aria che continuava a calciare all’infinito….che mal di schiena! Ma che bello vederlo così attivo! Quel giorno mi sentii persino male, quasi da svenire, avevamo mangiato poco, c’era un aria consumata e calda nell’edificio e sicuramente l’impatto con i bambini emotivamente era stato molto forte.

Questo era quello che avevamo iniziato a fare, far uscire i piccoli e meno piccoli dai letti e dalle stanze, passeggiare su e giù’ per i corridoi con loro e con le sedie a rotelle, senza poter scendere al piano di sotto perché’ vi erano solo le scale e i bambini non riuscivano a farle, ci rendemmo conto che quei pazienti non avevano mai la possibilità’ di camminare, di muoversi, di scendere dai loro letti, perché’ non c’era personale abbastanza che poteva seguirli.

Li imboccavamo a pranzo ed a cena, avevamo imparato a conoscerli, sapevamo i loro nomi, ed ognuno di noi aveva un preferito, un piccolo angelo.

Siamo rimasti per circa una settimana, e’ stata sicuramente un’esperienza profonda ed unica, avevamo potuto fare così’ poco e far muovere così pochi bambini quando ce ne erano circa 100 nei letti.

Appena partiti da lì già pensavamo a quando tornare, Ermanno già progettava che cosa si poteva fare, quando tornare…Michele mi ricorda che proprio nel viaggio di ritorno sentimmo la canzone di Renato Zero, dei giardini che nessuno sa, che ci commosse tutti.

Dopo il primo incontro con questi angeli, mi ricordo non era stato facile lasciarli lì, la mia mente ripensava spesso a loro, e spesso, lo stesso odore forte quasi nauseante dell’ospedale mi ritornava vivo, quasi a sentirlo davvero anche a casa mia, ma queste volte tornava con un felice ricordo dei bambini e dell’esperienza vissuta che lo rendeva addirittura un piacevole ricordo.

L’anno seguente Ermanno riparti, con nuovi progetti e altri volontari. Anche io tornai, e con me vennero altri amici da Ancona, perché una volta stati la non si può che parlare agli altri dell’esperienza vissuta, e così tornai anche le volte successive fino al 2001, estate della prima tendopoli.

Penso che quel volontariato abbia fatto molto più’ bene a me, che a quei bambini, penso che si parta sempre con l’idea di aiutare e di mettersi in gioco, ma poi si torna scoprendo che in realta’ si e’ ricevuto tantissimo in confronto di quello che si e’ riusciti a dare.

In tutte le esperienze a Gornja ho conosciuto persone meravigliose che venivano da varie parti d’Italia, amicizie che si stringono in così poco tempo e che sembrano già durare da una vita.

Dopo tutti questi anni non posso che dire che Gornja e i suoi piccoli ospiti sono stati e sono ancora parte della mia vita, e sicuramente un’esperienza che ti cambia profondamente e sicuramente in meglio.

A.Maria

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