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Dopo la mia prima settimana a Gornja Bistra

Tornata alla vita di tutti i giorni dopo la mia prima settimana a Gornja Bistra, mi capita di non saperne parlare in un modo che le renda giustizia. E allora di solito accenno qualcosa, con la chiara consapevolezza che il mondo parallelo appena scoperto, non possa essere raccontato a parole: sarebbe riduttivo, poco onesto.

Non renderebbe giustizia ad una stretta di mano, decisa ma accogliente, all’intensità di uno sguardo che esprime con forza un bisogno di vicinanza. A degli occhi chiari, che illuminano un viso dolce, ad un’espressività che non ha bisogno di parole per scatenare piccole rivoluzioni. Non renderebbe giustizia all’incanto della bambina che si anima tra i colori. Lei che nel suo posto magico, una piscina di palline, trova un conforto fatto di briciole di normalità e meraviglia, trova se stessa e la sua testardaggine. Trova parole dolci, sussurrate nelle orecchie, quando sente cantare il suo nome da una sconosciuta che ha occhi solo per lei, pieni di nient’altro che lei. Non renderebbe giustizia alla determinazione di un bambino che lotta testardo con la voglia di uscire all’aria aperta e fare qualche passo sotto il sole ardente di agosto. Non renderebbe giustizia ad una bambina, tanto piccola e dispettosa che corre nei corridoi, con due fette di cocomero tra i denti, un vestitino troppo grande per lei, chiaramente non il suo – ma che fine hanno fatto le tue cose? – i capelli bagnati e tanta voglia di prendere a morsi la vita, e chiunque le capiti sotto tiro. E al contempo non renderebbe giustizia alla sua dolcezza capace di far crollare ogni difesa, e infatti chi la vede nei corridoi sorride con lei, per quella speciale concessione che si è presa, di comportarsi un po’ da bambina. Non renderebbe giustizia a quegli occhi scuri che se ci guardi dentro, cadi in un burrone. Come quello in cui sono precipitata fissando gli occhi di sua sorella, profondità misteriose ma di certo tutt’altro che vuote. Due parole da ripetere per raccontare un universo di storie che non possiamo che immaginare. E come le parole possono esprimere la sperimentazione del contatto nel momento di fare loro il bagno? Quando svesti quei corpicini, con l’inesperienza che porta con sé il timore di far loro male. Quando con cautela, con dolcezza, con amore, tiri su la maglia, giù il pantaloncino, ti inerpichi con le mani tra il body, il letto, le spalliere.  Quando ti alzi, ti abbassi, ti appigli. Quando fatichi con dolcezza, con cura, con amore. E poi li coccoli, li accarezzi:

“L’acqua è calda? È fredda? Più tiepida”

Velocemente per non fargli avere freddo, non farli spaventare o stare scomodi. Con calma, per concedere loro quel momento speciale e per regalarlo a me.

Ti mettiamo lo shampoo e massaggiamo la testa, non te lo aspettavi, sorridi.

Ti tagliamo la barba, all’inizio hai paura, poi inizi a fidarti e alla fine apri la bocca e ridi.

Come le parole possono rendere giustizia all’eccitazione e alla sorpresa di ognuno, così definito nel proprio modo di essere, con quei gesti, quelle espressioni così caratteristiche, inequivocabilmente sue, davanti a una piscina, regalo inaspettato nella calda estate?

Come poter rendere giustizia ai sorrisi d’oro, le braccia di cristallo, in un mondo silenzioso di parole ma vispo e consapevole, che è diventato anche il mio, anche da lontano?

Come rendere giustizia alla poesia di questo gruppo acciaccato a volte disattento, a volte prepotente, a volte pieno di vita, a volte felice di una felicità di cui essere invidiosi?

E come rendere giustizia alla bellezza dei volontari innamorati folli, ridicoli, forse mai, forse sempre increduli in questa bolla blu?

Per questo penso che le parole siano riduttive per raccontare la mia Gornja Bistra, ma che piuttosto serva tempo, serva esserci, serva vedere la bellezza di chi ne è parte integrante, coglierne i colori o percepirne le sfumature, sentirne l’odore e cogliere la difficoltà, sentire il fragore, le urla, il rumore, poi il silenzio. E poi cogliere se stessi in quel mondo li.  

 

Martina

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