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Sui passi del Giardino delle Rose Blu: 25 anni di missione di Don Ermanno

IN VIAGGIO NEI BALCANI: I LUOGHI DI UNA MISSIONE

Ci incontriamo, all’aeroporto di Fiumicino, venti persone di varia provenienza: la maggior parte è arrivata con un pulmino da Frosinone, ma ci sono persone provenienti da Ostuni, L’Aquila, Frascati, tutti riuniti, da più parti, con la curiosità di affondare gli occhi in quella realtà di solidarietà di cui abbiamo sentito parlare e diretti, sotto la guida di Ermanno D’Onofrio, nei luoghi della sua missione nei Balcani. Decolliamo su un piccolo aereo ad elica e a Zagabria troviamo un pulmino che ci accompagnerà nelle varie tappe del viaggio. La prima meta è Gornja Bistra, dove viene inaugurata la “Strada dei mattoni”, che vede inserite lungo il marciapiede le lapidi con i nomi di tutti coloro che, attraverso una piccola donazione, hanno contribuito alla realizzazione della “Casa delle Rose”, destinata ai volontari dell’Ospedale pediatrico della cittadina. Ma la vera emozione è addentrarsi lungo il vialone dell’Ospedale immaginando, dai racconti di don Ermanno, le condizioni iniziali della struttura e confrontandole con quelle attuali. Ci troviamo in una struttura pulita, colorata e accogliente, dove incrociamo lo sguardo col sorriso entusiasta di decine di giovani volontari in camice bianco, giunti da ogni parte d’Italia per portare amore, sostegno e cure ai piccoli ricoverati. L’incontro “forte” con la sofferenza e la malattia, che troviamo tragicamente esposte nei lettini, è bilanciato dalla disinvoltura e dalla familiarità con cui don Ermanno si rapporta ai piccoli pazienti, ridendo, scherzando con loro e presentandoci quelli più vigili e attivi. Andiamo via dall’ospedale portando con noi, stretti come due gemelli, questi due aspetti della vita che continuamente ci interpellano: il bene intimamente mescolato al male! Non riusciamo infatti ad essere del tutto avviliti, perché insieme al dolore abbiamo raccolto anche tante immagini di cura, dedizione e amore, ma soprattutto il risultato di un progetto avviato più di vent’anni fa e portato avanti attraverso l’ardire di una visione profetica. Passiamo poi a visitare la “Casa delle Rose” che, a pochi passi dall’ospedale, andrà prossimamente a sostituire l’attuale struttura, vecchia e fatiscente. Il nostro viaggio prosegue nei luoghi che un tempo furono devastati dalla guerra, in cittadine come quella di Kupres dove, a suo tempo, un Ermanno ragazzo e non ancora sacerdote ha mosso i suoi primi passi verso il dolore umano, vivendo, insieme ad altri volontari, Campi di lavoro e di animazione e impegnandosi nella ristrutturazione della scuola locale. Quando, a sera, ci ritroviamo in un locale per la cena, veniamo raggiunti da diversi giovani, gli ex bambini del campo profughi, che hanno fatto un viaggio di quattro ore per salutare il ragazzo di un tempo, che aveva prestato loro il suo sorriso per distrarli, portarli in giro e dar loro una speranza. Il nostro pullman riprende il suo viaggio: dai nostri finestrini ammiriamo le bellezze di una natura ancora per molti versi selvaggia e i segni che una coesistenza umana difficile ha lasciato sul territorio, dove gli alti pinnacoli delle moschee si alternano alle torri dalle cupole arrotondate delle cattedrali ortodosse e dove le lapidi nere dei cimiteri cristiani si contrappongono alle steli bianche di quelli musulmani. Tutto ci parla di una realtà sofferta, difficile e piena di eventi dolorosi. A Mostar, su una pietra, leggiamo l’emblematica scritta “Don’t forget” (Non dimenticare). Giunti a Medugorje incontriamo due donne, di cui ci viene raccontata la storia: storie di dolore, deprivazione e miseria a cui si è rivolta l’attenzione dei volontari della Fondazione, i quali hanno provveduto a realizzare per le due famiglie quell’elemento indispensabile per la sopravvivenza che è la casa. Si tratta solo di due dei sessantanove casi di cui il Giardino delle Rose Blu si occupa in Bosnia-Erzegovina. L’ultima tappa è il villaggio di Domanovići, dove da qualche anno i volontari prestano servizio presso una casa di riposo per anziani. Ci rechiamo lì, dopo aver confezionato per ciascuno degli ospiti della casa (38 donne e 13 uomini) dei piccoli regali che portiamo loro in omaggio. Le difficoltà della lingua croata non spaventano alcuni di noi che, a dispetto dell’indecifrabilità della lingua, riescono con grande empatia a comunicare con qualche anziano grazie al linguaggio del cuore, fatto di sguardi e carezze offerti con trasporto. Si riparte per casa: la nostra comitiva, arricchita da una nuova e recente familiarità, scopre di aver tessuto nuovi rapporti, cementati dall’ aver condiviso insieme emozioni insolite e piene di senso.

Patrizia Cotticelli

Il nostro gruppo con Finka (al centro con la maglia gialla), davanti alla casa realizzata per lei dai volontari
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