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Perché Gornja nasce sull’Amore e da Gornja può nascere una Mamma

Molti ti chiedono come si fa a capire qual è il momento migliore per intraprendere decisioni importanti. Beh io più che momento parlerei di istante, perché è stato proprio quello ad accendere la lampadina della scelta più importante della mia vita.

Credo che anche per le decisioni più toste ed impegnative bisognerebbe perdere un po’ di razionalità ed ascoltare solo ciò che ti dice il cuore in quel preciso ISTANTE… e in quale posto se non Gornja, il cuore non sbaglia un colpo?

Il desiderio di maternità e di una famiglia tutta mia sono sempre stati presenti dentro di me, ma erano lì, in un cassettino chiuso a parte, pronto ad essere aperto in tempi e modalità migliori.

Era qualche mese che la vita pareva sorridermi continuamente, ogni giorno sempre di più, dopo anni bui ed incerti, circondata da eventi e persone non particolarmente favorevoli al mio percorso di vita…

In questi anni ho conosciuto l’ospedale di Gornja, anzi, mi correggo, ho avuto la fortuna di conoscere Gornja, poiché tutta la crescita e la spinta di cui avevo bisogno le ho trovate proprio tra quelle mura e in quegli occhi.

Ogni settimana gornjana mi insegnava qualcosa e mi faceva salire di qualche gradino verso la realizzazione di ciò che veramente volevo essere, di COME volevo essere, poiché tra quei corridoi la mia persona non aveva limiti: ero libera di essere ciò che volevo, di amare senza riserva alcuna; in quel castello non troverai mai qualcuno che darà per scontato ogni tuo piccolo gesto d’amore. In quel magico castello, in quanto a sentimenti, ci si può davvero sbizzarrire…

I ragazzi di Gornja, uno in particolare, mi hanno insegnato l’arte dell’accudire, dell’aspettare, del mettersi in secondo piano, facendoti sempre sentire al primo, dell’osservare con amore, senza toccare (in realtà ti basta anche così). Soprattutto mi hanno acceso quella lampadina, hanno aperto facendo un dolce rumore, quel cassettino che era lì, piccolo piccolo nel mio cuore: LA MATERNITÀ.

Era dicembre, la settimana delle feste di Capodanno/Epifania. Decisi di partire in super improvvisata con due mie carissime Amiche e compagne di Gornja, Debs e Chiara detta “shampoo” … tanti sono stati gli ostacoli per quella partenza ma ce la facemmo, perché quando Gornja chiama, CHIAMA! E non ce n’è per nessuno.

Nonostante partissi da casa serena, quella settimana mi spaventava più di tante altre. Ero consapevole che la Rosa Blu alla quale mi ero legata particolarmente, era in intensiva a causa di un terribile incidente e temevo la mia reazione nel vederla così, poiché ero abituata ai suoi canti e grida di gioia.

È stato come temevo. impatto terribile. Ma sapevo che non potevo cedere ai miei stati d’animo, ma mettermi in gioco in un altro modo.
È stato difficile. Tantissimo. Le mie giornate in quella settimana erano scandite non dalle urla e canzoni della sala giochi, ma dai “bip bip” dei macchinari che rompevano il silenzio assordante dell’intensiva. Ogni giorno una battaglia per convincere gli infermieri a farmi entrare e stare anche solo un minuto in più di fianco a quel lettino.

Ed è stata proprio in quell area dell’ospedale in cui non ero mai stata prima, nella quale ho incontrato gli occhi e le mani che mi hanno convinta che era arrivato il momento di mettere in cantiere ciò che desideravo da anni.

Piccola premessa: nelle varie settimane a Gornja non ho mai “frequentato” i pargoletti più di tanto: troppo piccoli ed indifesi per la mia persona. Preferivo approcciarmi coi ragazzi poiché erano meno “delicati”. Ma in quel lettino c’erano due occhi troppo blu e troppo grandi su un corpicino troppo piccolo, per essere ignorati. Giorno dopo giorno mi sono avvicinata sempre di più a quello scricciolino pieno di tubi e dagli occhi infiniti, scoprendo che non era poi così male tenere tra le braccia un corpicino tanto piccolo. Finché ho capito.

Tra il letto della mia Rosa Blu e le sbarre di “occhioni blu”, il mio senso di apprensione e “amore materno” erano sempre più forti e maturi, quasi ad esplodere, fino a quando una delle ultime sere, mentre ero in stanza con le mie compagne, ho detto loro “bona ragazze, ho deciso. Io appena torno a casa provo a fare un figlio”.

Era stato proprio un ISTANTE, un fulmine passato tra le membra del mio cuore e della mia mente, un ISTANTE che mi fece un solco sul quale poi maturai sempre di più la convinzione che era la cosa giusta.

Era il 31 marzo, ero appena tornata dal lavoro. Sfinita. Non era propriamente un bel periodo. Piena pandemia COVID, ed io c’ero dentro a piedi pari, facendo l’educatrice in una casa di riposo che n’è stata sterminata.

C’era solo morte, tristezza e malattia intorno a me. Finché quella sera, la VITA vinse come sempre. Scoprii di essere incinta. Tanti furono i sentimenti contrastanti di quel momento: gioia, paura, euforia, spavento, senso di impotenza ma anche di onnipotenza. Insomma: una bomba!

Non sono stati mesi facili, lo ammetto. Una gravidanza vissuta nel pieno di una pandemia non era proprio ciò che mi aspettavo, ma Agata mi ha dato una forza che di certo non credevo di avere. Perché alla fine è sempre così, scopri cose di te solo nelle situazioni più strane e grazie alle creature più piccole ed indifese.

Ed eccomi qua, a pochi giorni dal termine, a ripensare a tutto questo: a quest’anno, a Gornja che è da mesi lontana per migliaia di km e da una pandemia, ma mai dal cuore. A quanto sono grata a quel posto per avermi ammorbidito il cuore e addomesticato amorevolmente L’anima. Per i gesti di amore che mi ha insegnato e che probabilmente metterò in pratica soprattutto con la mia bambina. Per il senso di gratitudine e per la semplicità con cui ti invade, ma facendo un rumore grande che non può lasciarti indifferente, poiché apre i cassetti che forse tu da sola non ne avresti avuto il coraggio di aprire.

Grazie Gornja. Grazie Vita.

 

Chiara Moretti

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