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Testimonianza

A 28 anni mi ritrovo su un treno che mi sta riportando a casa.
Porto con me una valigia piena di vestiti, svuotata dal cibo per intolleranti che prima riempiva ogni intercapedine disponibile, la fatica di un periodo pieno, l’esperienza appena vissuta in un ospedale pediatrico in Croazia.
Vedo vivamente le immagini dei bambini nei loro lettini, che a volte sembrano gabbie, avverto l’odore delle loro stanze, il suono delle carrozzine spinte, sento i loro corpi che hanno solo bisogno di carezze.
Qui, a Gornja Bistra, si aprono scenari dalla sconfinata tenerezza.
Ero lì per loro.
Eppure sono loro ad aver dato a me.
Hanno ridato pienezza a gesti che permettono di riconettersi ad un modo gentile di stare al mondo.
Mi hanno impattato in maniera violenta con la loro voglia di vivere, permettendo un ritorno alla percezione che l’altro esiste con un mondo semplice e parimenti complesso.
Mi hanno permesso di dare un giusto peso ai pensieri, ai problemi, ai rapporti.
È forse questo l’amore.
La cura oltre ogni leggittima cura, oltre gli schemi convenzionali, oltre il buon senso. In un rapporto in cui non è più possibile porre un confine tra chi dà e chi riceve.
D’altronde “invano vive chi non giova a nessuno”.
È così: la vita a volte ci porta ad uscire. Altrettante volte a ritornare.
L’uno non esisterebbe senza l’altro.
È necessario andare per poter tornare.
È necessario perdersi per ritrovarsi.

Grazie ❤

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