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Campo Invernale 31 dicembre 2018: la festa di fine anno

Dal momento che a causa della pandemia non possiamo vivere le nostre missioni estere abbiamo pensato di rendere vive queste esperienze attraverso la pubblicazione di testimonianza dei volontari che le hanno vissute

Lavoro con persone migranti da qualche anno. Ho ascoltato tante storie, spesso drammatiche, e talvolta il distacco che dovrei avere in ambito lavorativo è difficile da mantenere. Ma pensavo di essere preparata, in qualche modo.
Campo invernale 2018/2019.

Arrivammo nel campo profughi di Hadžici, una località che dista mezz’ora da Sarajevo.
Per prima cosa, ci diedero istruzioni sul modo in cui relazionarci con le persone. Per la difficoltà nel superare la diffidenza e per non mancare di rispetto davanti al dolore altrui.
Molte di queste persone erano di ritorno dalla Croazia. Avevano provato il “game”. C’è parola più derisoria per descrivere la sorte di una persona? Non credo. Il game è il tentativo di entrare in Europa attraverso il confine croato, tentativo che spesso sfocia in violenze da parte della polizia, trattamenti inumani di cui l’Europa è a conoscenza, ma davanti ai quali troppo spesso tace.
Entrammo nella sala che fungeva da mensa e iniziammo a cercare un contatto con i più piccoli. Ci avevano detto che gli adulti erano restii ad aprirsi, figurati a giocare con noi.
Con palloncini, con pennarelli e matite, con bolle di sapone e barattoli..con gli strumenti che avevamo a disposizione cercammo di coinvolgere i ragazzi attorno a noi, non senza difficoltà.
Si avvicinò una bambina con la madre.
Pian piano, riuscimmo a sfondare il muro della diffidenza. Il sorriso di quella bambina, che le colmava gli occhi di gioia, è uno dei ricordi più belli. Paragonabile solo alla felicità della mamma, che finalmente vedeva la figlia fare quello che dovrebbero fare tutti i bambini: giocare e divertirsi.
Alla fine riuscimmo a trascinare nella spensieratezza del gioco anche i più grandi, donando loro, per quanto possibile, un attimo di tregua dalle preoccupazioni, dalle paure..anche solo un sorriso.
La mamma della bambina non smetteva di ringraziarci. Quei ringraziamenti pesavano come un macigno a capofitto sul cuore.
Perché tutte le persone che fuggono – per motivi che non sta a noi giudicare – dovrebbero trovare riparo e protezione, serenità. Soprattutto i bambini.
Al termine della giornata, quegli occhi, quei sorrisi, quei ringraziamenti furono sì macigni, ma anche una salvezza, un respiro di quell’umanità che non dobbiamo perdere, che ci indica il cammino da percorrere. Una sensazione che ho respirato durante tutto il campo invernale.

 

Buona fortuna a voi, ovunque siate.

(Cristina)

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