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La mia testimonianza sul “Giardino delle Rose Blu” – Filippo

Ho conosciuto don Ermanno nel 1998 ad un campo nazionale per capi scout. Era ancora seminarista se non sbaglio, e curava la parte spirituale delle attività. Non esistevano i social ed erano pochissimi i telefonini, così iniziammo a scriverci varie lettere che conservo ancora. Trovai una persona di fede e piena di idee, e lui… trovò una persona che voleva mettersi in gioco e molto desiderosa di fare qualcosa per gli altri. Iniziò a parlarmi dei suoi viaggi nella ex-Jugoslavia, e poi dell’ospedale pediatrico di Gornja Bistra, e nel 1999 con alcuni ragazzi di Ancona, molti scout o ex scout che conoscevo, organizzò un incontro per parlarcene. Invitammo amici, genitori e parenti e riempimmo il teatrino della chiesa. Ci fecero vedere foto e video di una realtà davvero difficile da comprendere e soprattutto da accettare, accompagnandole con le loro testimonianze. Erano entusiasti ed ispirati, e ci commossero. Mi ricordo mia madre in lacrime. Ci chiedevamo il motivo che poteva spingere qualcuno a fare gesti di altruismo così grandi. Nel Dicembre 2000 partii con vari altri in pullman alla volta della Croazia. Ero molto emozionato, avevo vent’anni. Ora che sono genitore un ragazzo di quell’età mi sembra poco più che un bambino. Da sempre pacifista, mi aspettavo di finire fra mine e spari, seriamente. Poi a quell’età hai un po’ la spocchia verso “gli anziani”, ed invece c’erano non pochi adulti con noi.

Adesso l’ospedale è una realtà dignitosa e funzionante. All’epoca era un palazzo vecchio, rovinato, che sembrava collocato apposta in una lato nascosto della cittadina, alla fine di un viale alberato. Ricordo molto bene la vecchia ambulanza parcheggiata all’esterno, che nessuno di noi ha mai capito a cosa servisse né se funzionasse ed a chi spettasse guidarla. Aveva un aspetto lugubre e triste. Vetri così e così, luci non troppo brillanti. Ma soprattutto l’odore terribile all’interno. Terribile. Un misto fortissimo di cipolla, minestrone, sporco, umido, feci, urina, sudore. Accompagnato dai lamenti e dai versi dei bambini ospiti della struttura al piano di sopra, prigionieri nei letti e spesso nei loro corpi. Una situazione angosciante e che francamente mi metteva paura. Poi le operatrici, diffidenti e serie, con divise un po’ “vintage” di colore rosa o celeste, spesso scolorito. Ci divideva un enorme muro, culturale e mentale. Noi eravamo lì per volontariato, pieni di desiderio di fare e di pregiudizi, e pronti a dare giudizi. Loro erano lì per lavoro, probabilmente senza amarlo troppo, probabilmente poche e poco formate, con pochi mezzi, in una realtà post bellica davvero difficile. Insomma, ambiente e persone si influenzavano a vicenda. Ricordo il direttore dell’ospedale, dott. Zeliko Waiss. Non ci ispirava fiducia, e credevamo fosse senza cuore. Poi il giardiniere tuttofare, che secondo noi si ubriacava. I pavimenti un po’ sconnessi, la buia scala a chiocciola di legno, il giardino interno con la vasca della fontana vuota e le piante lasciate un po’ a se stesse, i lettini bianchi e vecchi. E dentro i bambini, circa un centinaio divisi in varie camerate. Alcuni legati grossolanamente con strisce di garza alle sponde. Alcuni con teste enormi, o ferite sul corpo, oppure immobili e col sondino, o con posture innaturali, o che si dondolavano, o che emettevano suoni strani, con problemi e malattie genetiche croniche o vittime di incidenti . Davvero un dramma, un abisso di cronicità. E su tutto questa puzza. E noi dormivamo in uno stanzone, al piano di sotto, e ogni tanto si sentiva un bambino piangere o gridare.

Ma c’erano anche luci. Ad esempio Borika, la logopedista. Che amava sinceramente il suo lavoro e questi bimbi. A lei, ed a pochi altri, ci aggrappammo per fare il nostro “lavoro”: cercare di dare una sistemata ai muri, pieni di buchi e crepe, e dare un po’ di svago e di amore ai bimbi. Del resto… cosa si potrà mai fare andando una settimana in un anno a trovare delle persone che non ci conoscono in un paese con una lingua stranissima, fra persone diffidenti, un odore nauseante e un ambiente decadente? Eppure… Quella goccia nel mare… Noi l’abbiamo fatta. L’amore va oltre le lingue, i confini, l’età. Si trasmette e basta.

Così ci siamo conosciuti, e così ho conosciuto tante persone comuni, e straordinarie. Eravamo così puri e così profondamente noi stessi che molto spontaneamente nascevano storie d’amore. Una delle ultime sere eravamo a Zagabria, nella piazza principale. Era molto freddo essendo Dicembre, e stavamo quindi tutti vicini, appoggiati al muro di una casa in attesa del tram. Vicino a me c’era Maria Rosaria, che non avevo particolarmente notato in quei giorni. Mi dice qualcosa, io non capisco e mi avvicino, intanto ci prendiamo per mano stringendocela forte dentro i guanti, e senza pensarci su… ci diamo un bacio. Così, in mezzo a tutti gli altri.

A vent’anni credi di capire e sapere quasi tutto, e credi che un’esperienza simile ti illumini per sempre. Torni pieno di idee, progetti, amore, desideri. Hai capito il senso della vita. Quello che vuoi fare. Invece è solo l’inizio. Sono tornato altre volte alle tendopoli estive o nelle settimane di campo, ho visto e vissuto cambiamenti impensabili. Ero presente quando Ermanno ha avuto l’idea folle di rendere la visita annuale un campo permanente. Ho disegnato il primo logo de “Il giardino delle rose blu”. Quando li vivi i mutamenti sembrano lenti ed insignificanti, esasperanti quasi, e vorresti a volte scoraggiarti. Poi a distanza di tempo ti rendi conto che quei piccoli, insulsi, irritanti passi avanti, sono i piccoli particolari che fanno bellissimo il quadro.

Ho dato il mio contributo, e ne sono orgoglioso. Credo di aver dato tanto, e soprattutto l’ho dato al momento giusto, ma quello che ho ricevuto è immensamente di più. E’ il bagaglio che mi porto dietro ogni giorno, perché poi pochi anni dopo ho iniziato a lavorare, e sono sempre rimasto nel mondo del sociale. Quindi ripenso a quelle operatrici coi camici scoloriti, a quale differenza ci può essere fra lavoro e volontariato, a chi sono io e se ho conservato quell’ideale puro e se lo perseguo. L’età cambia e quindi cambia anche il modo in cui si affronta la vita, ma incontrare don Ermanno e Gornja Bistra è stato un regalo della Provvidenza.

 

Un abbraccio grande
Filippo

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